Bisca – Collezione 1982-1984
Mentre ascoltavo per l‘ennesima volta i brani di “Collezione 1982-1984” ho cercato in archivio i miei primi scritti sui Bisca, relativi proprio ai giorni dei quali questo CD offre testimonianza. Vincere il disagio del confronto con la mia zoppicante prosa giovanile non è stato uno scherzo, ma mi occorrevano un paio di stralci significativi e li ho trovati. Ad esempio, che il sound della band “oscilla fra un rap viscerale e convulso e un funk isterico e anticonvenzionale, con larghe concessioni a soluzioni jazzate”; oppure, che “i testi, in inglese, italiano e napoletano, hanno un ruolo di secondo piano, ma contribuiscono efficacemente a sottolineare l’ossessività delle composizioni attraverso una ripetitività di frasi e parole che a tratti rasenta la paranoia”. Tutto incontrovertibile anche a distanza di oltre tre decenni, ma il documento più eloquente rinvenuto nella mia “capsula del tempo” è la foto in bianco/nero scattata da un Cesare Accetta non ancora consacratosi al cinema. Nell‘organico a sei del mini-LP d‘esordio, i Bisca vi appaiono ribelli e assieme eleganti, sullo stile di alcuni esponenti dell‘area no wave newyorkese tipo James Chance & The Contortions; brillante il contrasto fra il look da blusons noirs e l‘ambiente con damigiane e stendini, un po‘ come farsi ritrarre in giacca e cravatta fra la spazzatura di un vicolo della Grande Mela.
In quel primo scorcio di anni ‘80, il collegamento tra Napoli e la megalopoli americana non suonava forzato, tutt‘altro; il meticciato culturale, il disagio e la vivacità del capoluogo campano sembravano affini, naturalmente mutatis mutandis, a quelli del Bronx o della Bowery di allora. Logico, pertanto, che qui da noi fossero in molti a vedere nei Bisca una sorta di equivalente tricolore dei no wavers, benché non privo di contatti con altre realtà coeve, a partire dal Pop Group di Mark Stewart. Magmatica e incandescente come il cuore del Vesuvio, la loro musica avvolgeva e ustionava, su disco e (soprattutto) sul palco: un sabba infernale all‘insegna di ritmi implacabili, frustate di chitarre, sax al vetriolo e prepotenze canore, dalle cui atmosfere torbide e minacciose trasparivano comunque ricercatezza e disciplina. Funk-punk-jazz al fulmicotone, in ogni senso stupefacente. E dire che l‘ensemble, nel 1981 in cui si era affacciato sulle scene, era dedito allo ska, da cui la scelta di operare – ma durò pochissimo – come Biska; chi l‘avrebbe mai detto, che appena un anno dopo avrebbe elaborato una sintesi così devastante, e che tre decenni abbondanti più tardi, seppure con “solo” due superstiti del nucleo originario, sarebbe stato ancora sulle barricate a far levare alta la sua voce sempre fieramente antagonista?
Pur prediligendo i toni lividi, dal 1981 a oggi i Bisca ne hanno combinate di tutti i colori, e il loro percorso rimane a più livelli esemplare. Doveroso ricordarne e celebrarne per la prima volta in formato digitale, allora, gli straordinari inizi, con un CD di studio che raccoglie tutto quello che fu pubblicato su vinile fra il 1982 e il 1984 più due inediti e un CD dal vivo – fino a oggi mai diffuso in alcun formato – che coglie i ragazzi alla Rôte Fabrik di Zurigo nel 1983. Sono quasi due ore e mezza di sudore e sangue, di rabbia e divertimento, di intensità e catarsi, delle quali gli anni non hanno soffocato l‘energia propulsiva ed eversiva; senza ombra di dubbio, uno degli apici espressivi e artistici di quel fenomeno poliedrico e purtroppo sommerso che la Storia ha etichettato come “new wave italiana”.
Federico Guglielmi, marzo 2015