Viet Cong, L’eredità Degli Women
Ci vogliono appena sessanta secondi del brano d’apertura ‘Newspaper Spoons’ per pronunciarvi sul carattere invernale dell’album di debutto di Viet Cong. Per certo il disco è aspro nei toni, ferisce, insinuando acumi velenosi sottopelle. E’ il lavoro della proverbiale maturazione, dopo che il recente Ep per Mexican Summer ne aveva già illustrato la metodica strategia. Siamo in pieno fermento wave e la polaroid dei Viet Cong non è affatto sbiadita. Passando in rassegna i momenti più galvanizzanti di un’intera scena – quella britannica ad onor del vero – i nostri ci regalano una palpitante cronistoria che mai rinuncia alla citazione d’autore. Un ritmo marziale, una melodia minacciosa, una chitarra tagliente, tutto al momento giusto, come in una minuziosa carrellata cinematografica.
E’ lo stato dell’arte del post-punk, quello che molti protagonisti contemporanei hanno solo apparentemente sfiorato, mancando quel tocco risolutivo sotto porta. Le capacità realizzative dei nostri non sono infatti in discussione, l’abilità nel ricreare quelle atmosfere crepuscolari ha del divino. Predestinati in fin dei conti. Il loro maggior dono è la capacità di umanizzare pietre grezze, solchi glaciali di vinile, ricavando una carica emotiva che è il loro maggior vanto. Registrato in un fienile trasformato per l’occasione in uno studio di registrazione – in Ontario, parecchio fuori mano – il disco si regge su sette febbricitanti episodi già opportunamente testati dal vivo. Jagjaguwar è così lieta di introdurre la creatura definitiva di Pat Flegel in combutta con Mike Wallace, Scott Munro e Daniel Christiansen. Flegel e Wallace (rispettivamente chitarra/voce e batteria) tornano per certi versi all’ovile, ricomponendo la brusca frattura che aveva portato allo scioglimento dei Women, prodigiosi interpreti dell’indie più avveniristico, scomparsi a mala pena dopo due album. Fu un lutto a decretare la fine di quella ispirata esperienza, la disgraziata morte nel sonno del chitarrista Christopher Reimer pose la pietra tombale sui Women.
Si riparte con le figure di basso di ‘Silhouettes’, quasi un’ ode ai Joy Division, uno dei punti fermi di questa nuova raccolta di potenziali singoli che girano sullo struggimento interiore per cercare una nuova via oltre il crepuscolo quotidiano. Preziosa anche ‘Continental Shelf’ un gioiello proto-punk ipercinetico che conferma semmai l’asse su cui il gruppo muove. L’urgenza dei migliori artigiani white-funk unita alla proverbiale mise del rock gotico, in sintesi questo il gioco di specchi su cui poggia l’omonimo esordio lungo dei quattro. Desolate poesie periferiche pronte ad intersecare la vostra impenitente esistenza.
http://www.youtube.com/watch?v=hdMz7BUtOvk