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MUSICA CAPITALE

‘Roma Brucia – Quarant’anni di musica capitale’, di Federico Guglielmi

Il primo libro dedicato al panorama rock (e dintorni) romano del passato e del presente: oltre duecento artisti trattati, centinaia di recensioni di dischi e concerti, interviste e fotografie esclusive.

Federico Guglielmi è uno dei più noti giornalisti rock italiani e ha alle spalle quarant’anni di professione nel campo del giornalismo musicale. Ha fondato e diretto il mensile Velvet e il trimestrale Mucchio Extra, è stato caporedattore e redattore de Il Mucchio Selvaggio, ha scritto per Rockerilla, Rumore, Rockstar e altre riviste. ‘Roma Brucia’ è il suo tributo alla capitale e alle gloriose stagioni della scena musicale nata, cresciuta e maturata a Roma.

 

MUSICA CAPITALE

Roma Brucia – Quarant’anni di musica capitale’

Disponibile nelle migliori librerie ed e-store dal 10 Maggio 2019

Goodfellas Edizioni

Collana: Spittle

Pagine: 608

Formato: 16×23

Prezzo: 22,00

 

‘Roma Brucia’ è il primo libro di sempre dedicato al panorama rock (e dintorni) romano del passato e del presente: oltre duecento artisti trattati, centinaia di recensioni di dischi e concerti, interviste, fotografie. Dalla seconda metà degli anni ’70 il punk ha cambiato il volto del rock, creando una linea di demarcazione tra “prima” e “dopo”: nuovi stili, nuovi atteggiamenti e nuovi modi di proporsi al pubblico e sul mercato si sono affermati ovunque nel mondo con effetti ancora evidenti. In questo quadro anche Roma si è ritagliata un suo spazio, dando vita a centinaia di realtà significative che a volte hanno conquistato le luci dei riflettori e in altri casi sono rimaste più di culto: dal punk dei Bloody Riot al folk-rock de Il Muro del Canto, passando per il combat-rock della Banda Bassotti, il rap degli Assalti Frontali, la nuova canzone d’autore di Max Gazzè, Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Tiromancino e Riccardo Sinigallia, l’indie de I Cani, fino a band affermatesi pure all’estero come Zu e Giuda, la Capitale non ha mai mancato di offrire musica personale e di grande interesse. Nei suoi oltre quattro decenni di attività giornalistica, Federico Guglielmi è stato testimone oculare e puntuale cronista di quanto accadeva nell’ambito della nuova musica nazionale, con migliaia di recensioni e centinaia tra approfondimenti e interviste. Un’ampia selezione di quanto da lui scritto a proposito delle tante scene che si sono avvicendate e sovrapposte a Roma è stato ora raccolto in questo libro prezioso per la quantità e la varietà del materiale, ma soprattutto perché costituito da testimonianze in massima parte contemporanee agli eventi e non ricostruite con il senno di poi.

L’autore: Federico Guglielmi, nato a Roma nel 1960, ha alle spalle quarant’anni di professione nel campo del giornalismo rock. Ha fondato e diretto il mensile Velvet e il trimestrale Mucchio Extra, è stato caporedattore e redattore de Il Mucchio Selvaggio, ha scritto per Rockerilla, Rumore, Rockstar e altre riviste. Da un paio di decenni è responsabile delle pagine musicali di AudioReview; inoltre, collabora stabilmente con Blow Up, Classic Rock, Vinile e Rai Isoradio. Ha pubblicato oltre venti libri, è stato conduttore/autore di varie trasmissioni radio della RAI tra le quali Stereonotte e Stereodrome, ha firmato la produzione artistica di ventidue dischi e tanto altro ancora. Il suo L’ultima Thule ha vinto l’Indie Blog Award per il miglior blog musicale nel 2014 e nel 2017.

 

Info Federico Guglielmi:
https://lultimathule.wordpress.com/

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Nasce HYPERJAZZ Records – Incrocio tra passato e presente, dove il jazz tradizionale incontra nuovi suoni. Ascolta ‘The Word Was Made Phresh’, nuovo Ep dei PHRESOUL e prima uscita della HYPERJAZZ

Nasce HYPERJAZZ Records, incrocio tra passato e presente, dove il jazz tradizionale incontra nuovi suoni.

 

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Fondata da Raffaele Costantino e il suo team di collaboratori, Hyperjazz è una nuova casa per DJ, musicisti e compositori che abbattono le barriere tra jazz e musica elettronica. Hyperjazz vuole rompere le routine, esplorare nuovi orizzonti musicali, interagire ed essere contaminata dalla società in continua evoluzione. HYPERJAZZ è una distribuzione esclusiva di Goodfellas.

Il primo titolo uscito per HYPERJAZZ è ‘The Word Was Made Phresh’ dei PHRESOUL. L’Ep di 7 tracce strumentali dei PHRESOUL si dividono tra partiture jazz, hip-hop e alternative rock, disponibile su vinile e in formato digitale, streaming e download.

Ascolta ‘The Word Was Made Phresh’ dei PHRESOUL –

 

Guarda il video di ‘Sphere Alliance’ – 

 

Il nuovo lavoro dei PHRESOUL è stata presentato da Andrew Jervis durante il popolare Bandcamp Weekly podcast – https://bandcamp.com/?show=318

Phresoul è una collaborazione tra il tastierista inglese Charlie Stacey (già al fianco di Yussef Dayes), il bassista e il batterista italiani David Paulis ed Enrico Tozzi. Musicalmente il trio si muove tra ‘Bitches Brew’ di Miles Davis e le influenze di artisti contemporanei come Flying Lotus e Thundercat.

‘The World Was Made Phresh’ arriva a due anni dal debutto dei Phresoul ‘Metempsychosis’ consolidando un sound esplosivo dove improvvisazioni noise-rock convivono con neo-psichedelia, hip-hop astratto e space-jazz.

 

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PHRESOUL – ‘The Word Was Made Phresh’

Streaming, download e vinile dal 22 marzo per Hyperjazz

Tracklist:

  • Monitor Lizard (Reptilian Chicken) 01:27
  • Institutional Violence 02:16
  • Sphere Alliance 02:23
  • Lithium 03:20
  • Hipster Antichrist 03:23
  • Trump-Pence 01:02
  • Blended Family 03:25

PHRESOUL info :
. https://www.facebook.com/Phresoul/

. https://phresoul1.bandcamp.com/album/the-world-was-made-phresh?from=hpbcw

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Ryley Walker, il futuro è qui

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La copertina di ‘His Band And The Street Choir’ di Van Morrison deve aver condizionato non solo le scelte estetiche di Ryley Walker, un talento puro che all’età di 25 anni sembra aver sbaragliato ogni concorrenza in termini di maturità ed espressione del proprio io musicale. Il disco dello scorso anno – ‘All Kinds Of You’ edito dalla benemerita Tompkins Square – ha aperto la strada ai più nobili riconoscimenti della stampa specializzata, in attesa del definitivo allungo con ‘Primrose Green’, di imminente pubblicazione per Dead Oceans. Cresciuto sulle rive del vecchio fiume Rock nel nord dell’ Illinois, Ryley conoscerà un’adolescenza tranquilla prima di trasferirsi a Chicago nel 2007, per iscriversi al college. Qui inizia a frequentare con assiduità la locale scena dei club, confrontandosi con il lascito del post-rock e le più nerborute e decadenti manifestazioni noise (i gusti del nostro rimangono ad oggi profondamente disparati). Nel 2011, poco più che ventenne, il nostro si insinua adeguatamente nella tradizione del fingerpicking, osservando con parsimonia la dottrina dei vari John Fahey, Robbie Basho e Leo Kottke. Lo scenario sarebbe presto cambiato negli anni a venire, quando il gusto anglofono avrebbe preso il sopravvento, spostando l’asse degli interessi sulla perfida Albione, nello sposalizio naturale con lo stile conclamato di Bert Jansch e John Renbourn.

Per il nuovo album Ryley assolda un consistente numero di vecchi e nuovi talenti della windy city, andando a muoversi nei circuiti del jazz di ricerca e del rock sperimentale. L’apertura con la title-track ha del miracoloso, uno di quei brani che di diritto entrano nei dizionari rock di sempre, parafrasando le estatiche movenze del Tim Buckley altezza ‘Starsailor’. Con la successiva ‘Summer Dress’ gli arrangiamenti jazzy (l’uso del vibrafono è quintessenziale) sono ancor più determinanti, merito degli eccezionali comprimari coinvolti in questa pastorale avventura.  Anton Hatwich (contrabasso, Dave Rempis Quartet, Keefe Jackson ed una moltitudine di compagini avant) Frank Rosaly (batteria, Joshua Abrams Quartet, Scorch Trio, Jason Adasiewicz’s Rolldown)  Brian Sulpizio (chitarra, già nel precedente disco, un vero e proprio campione di gusto già frequentatore de circuiti rumoristi ed elettronici) e Ben Boye (tastiere, Bonnie Prince Billy, Angel Olsen) costituiscono più di un sostentamento per la penna dell’autore, capace di librarsi su di un tappeto sonoro ammaliante.

Per immergersi nello spirito dell’americana occorre voltare lato: ‘On The Banks Of The Old Kishwaukee’ è un’autentica testimonianza di vita, le fedeli memorie di Ryley che sulle sponde del fiume assisteva ai più classici battesimi nell’acqua. Più che a un’idea di redenzione il rimando è allo spoglio rituale, nelle acque limacciose del fiume con uno stuolo di partecipanti più che altro irritati. Per ascoltare il delizioso fingerpicking di ‘Sweet Satisfaction’ bisogna prima scomodare il John Martyn di ‘Solid Air’, pur considerando l’originalità del pianoforte di Ben Boye, qui particolarmente rivelatorio. Un’esperienza totale, tanto da candidare  ’Primrose Green’ ad una delle più miracolose pubblicazioni di quest’anno, proiettando il talento americano nella sfera dei grandi cantautori.

http://www.youtube.com/watch?v=96qBM4LL2ps

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Matana Roberts, Chapter 3

Matana Roberts 2

 

Matana Roberts è una delle più acclamate figure del nuovo jazz, capace di confrontarsi allo stesso tempo con la grande eredità della musica impro e le più intime radici della black (dal gospel all’r&b, attraverso le molteplici declinazioni del verbo). Acclamata anche per la sua visione socio-politica e la sua intrepida estetica, la compositrice ha creato un ciclo di pubblicazioni che rappresentano un unicum, nella prospettiva di un ricerca che vede il superamento delle barriere pre-costituite.

Siamo al terzo capitolo della saga Coin Coin, inaugurata nel 2011 e documentata con sommo gaudio dalla canadese Constellation, che in occasione del primo episodio mise proprio a disposizione l’emblematico studio di registrazione Hotel2Tango di base a Montreal. Dopo il primo corale paragrafo, per il secondo capitolo Matana si orienta verso un approccio più mediato, riducendo di gran lunga il cast dei musicisti coinvolti e puntando anche su una spericolata interazione vocale con liturgie più classiche.

La Robertsè reduce anche dal conseguimento di due prestigiosi premi: l’Herb Alpert Award nel campo delle arti ed il Doris Duke Impact Award, entrambi nel 2014. Riferendosi al suo approccio come ad un avvolgente suono panoramico, con la terza installazione implementa questa metafora, lavorando di concerto a field recordings, loop e ad un effettistica che rimanda alle più primitive dinamiche e metodologie elettroniche. Il sax non è l’univa voce solista, ci sono anche interventi vocali e recitazioni accorate ad impreziosire lo svolgimento dell’opera. Come per il precedente episodio i brani si susseguono senza soluzione di continuità, amplificando l’idea di concept e prospettando una suite inedita. Frammenti di brani tradizionali  hanno la funzione di rappresentare le pietre d’angolo di questo edifico. Per l’occasione si ritorna alla squadra del primo disco per Constellation, con il coinvolgimento dell’ingegnere del suono Radwan Ghazi Moumneh e la scelta metodica dell’ Hotel2Tango. Il risultato è una testimonianza viscerale del suo sentire, tra strutture ordinate e slanci impro, una genesi che ricopre in toto l’esperienza artistica della protagonista, svezzatasi alla scuola AACM  di Chicago. Quello che ascolterete è uno degli album solisti più accorati dell’intera stagione, il risultato di un lungo viaggio attraverso l’america del sud agli albori del 2014, raccogliendo testimonianze e documentazioni sul campo, al fine di trasporre in musica una visione il più possibile attenta alla genesi del popolo afro-americano.

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