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La Batteria: scene of the crime

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EMANUELE BULTRINI – Chitarre elettriche, acustiche, classiche e mandolino
DAVID NERATTINI – Batteria e percussioni
PAOLO PECORELLI – Basso elettrico
STEFANO VICARELLI -Hammond C3, Clavinet, FenderRhodes, Clavicembalo, Celesta, Piano, Mellotron, Mini Moog, Prophet 5, Modular Synthesizer Dot Com System 66

Batteria  /batteˈria/
Gruppo di uomini e donne specializzati nel perseguire rapine a banche, uffici postali, gioiellerie. La struttura della «batteria» è orizzontale, con parità di grado fra uomini e donne ed è comunque quasi sempre finalizzata a pratiche anti-capitalistiche e anti-borghesi. L’aspetto illegale delle loro azioni si potrebbe collegare anche alle agitazioni politiche e sociali dell’epoca dei cosiddetti anni di piombo.  (Wikipedia)

Uniti dal comune amore per le colonne sonore e le sonorizzazioni italiane degli anni ’60 e ’70, i quattro componenti deLa Batteria sono veterani della scena musicale romana più trasversale, con esperienze che vanno dal post-rock progressivo (Fonderia), al pop (Otto Ohm, Angela Baraldi), al jazz sperimentale (I.H.C.), al hip hop (La Comitiva, Colle Der Fomento) fino alla world music (Orchestra di Piazza Vittorio). La band propone brani originali ispirati a quel suono e a quella scrittura così particolare che dominava la musica per immagini nel nostro paese negli anni che vanno dal 1968 al 1980, periodo caratterizzato dalla creatività e vocazione sperimentale di compositori come Ennio Morricone, Stelvio Cipriani, Alessandro Alessandroni, Bruno Nicolai e di gruppi come i Goblin e I Marc 4.
Registrato utilizzando tutti strumenti vintage, il primo album omonimo deLa Batteria non è però una mera operazione di revival di un’epoca d’oro, ma piuttosto il tentativo riuscito di riappropriarsi di uno stile e di un suono del passato per proiettarlo nella contemporaneità. Così fra le pieghe del loro prog-funk cinematico si possono ritrovare anche influenze che spaziano dal afrobeat, al hip hop, alla musica elettronica e al rock alternativo degli anni 80 e 90, tutte filtrate però attraverso una sensibilità ed un modo di scrivere e di suonare tipicamente italiani. Un disco concepito a Roma in quegli stessi ambienti in cui si producevano quelle colonne sonore e quei dischi di sonorizzazioni che oggi vengono ristampati ed apprezzati in ogni angolo del globo, nato proprio come album di library per conto dell’editore Romano Di Bari e la sua Flipper Music (casa di etichette culto come Deneb e Octopus) e masterizzato negli storici studi Telecinesound di Maurizio Majorana, bassista de I Marc 4.
Una continuità quindi non solo sonora con quel mondo, esempio di un’Italia che riusciva a bilanciare arte e artigianato senza dimenticare il fattore commerciale, provinciale per molti versi eppure più libera di osare e di mescolare le carte in tavola per creare qualcosa di nuovo e diverso. Anche a livello grafico l’album de La Batteria gioca con gli stessi elementi e lo stesso corto circuito fra presente e passato, grazie al logo molto cinematografico disegnato per la band da Luca Barcellona (aka Lord Bean) e alla cover realizzata da Emiliano Cataldo (aka Stand) ispirandosi a quelle dei vecchi album di sonorizzazioni italiane.

 

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Criminale Vol.3 & Vol. 4 – Italian Library music

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Due nuovi eccezionali volumi si aggiungo alla serie Criminale (sponsorizzata da Penny Records), che con una fantastica doppietta iniziale aveva riaperto l’incandescente immaginario delle libraries italiane, mai come ora corteggiate oltre i patri confini. Due volumi tematici – rispettivamente terzo e quarto – che portano i già esplicativi titoli di ‘Colpo Gobbo’ e ‘Violenza’, ci precipitano nuovamente in quelle atmosfere di suspense che tanto hanno informato il cinema ed il fumetto made in Italy, creando veri e propri standard nello sfaccettato universo delle colonne sonore e delle performance strumentali.
Il decennio 1968-1978 ha un’importanza particolare nella storia d’Italia del secolo scorso, un periodo di profonde trasformazioni sociali e culturali cominciato sull’onda delle proteste giovanili di Berkeley e del maggio francese ma sviluppatosi poi in direzioni possibili solo nel paese più contraddittorio e dietrologo del mondo occidentale. La perdita definitiva dell’innocenza di una nazione da una parte ancora ubriaca del boom economico e dall’altra pronta ad un salto nel buio verso una modernità talvolta incomprensibile e piena di variabili impazzite. Anni di strategia della tensione- aperti dalla strage di Piazza Fontana e conclusi dal rapimento e assassinio di Aldo Moro- riflessa in ogni aspetto della cultura e della società. Tensione palpabile, sonora, visiva.
La colonna sonora di tutto questo la scrivevano in tempo reale un pugno di compositori intraprendenti che, fra una session e l’altra per le grandi colonne sonore del cinema o per l’orchestra della RAI, faceva palestra creativa e qualche spicciolo incidendo instant album per gli editori di library. Fotografie sonore della società italiana di quegli anni, così realistiche da non assomigliare neanche un po’ a quelle che contemporaneamente scattavano i compositori francesi, tedeschi o inglesi ai loro rispettivi paesi.
Il suono che usciva dalla televisione italiana era affilato come una lametta e sapeva di piombo e lacrimogeni, con la chitarra fuzz che ulula e la batteria che picchia duro a musicare i tumulti di una società in ebollizione. Daniela Casa, Remigio Ducros, Alessandro Alessandroni, Stelvio Cipriani, Enzo Scoppa, Amedeo Tommasi, Franco Tamponi e tutti gli altri compositori qui presenti sono stati degli audio reporter, oltre che dei musicisti magnifici. Capaci di descrivere in pochi minuti le atmosfere che li circondavano e di evocarle utilizzando contemporaneamente la tradizione classica, quella delle avanguardie colte così come il rock psichedelico, il jazz, il funk e qualunque altra innovazione della musica popolare transitasse per le loro orecchie. Esortati ad essere dozzinali e poco originali- come imporrebbe l’etichetta della library- i compositori italiani invece rispondevano con estrema originalità ed una vocazione sperimentale fomentata da quello stesso bisogno di rinnovamento che animava l’intera nazione in quegli anni folli e per certi versi meravigliosi.

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