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JASON ISBELL AND THE 400 UNIT, ‘The Nashville Sound’ – Il ritorno del principale autore dell’Americana della sua generazione. Dal 16 giugno per Southeastern Records / Thirty Tigers

‘The Nashville Sound’ è ritorno diJASON ISBELL AND THE 400 UNIT, principale autore dell’Americana della sua generazione. Dal 16 giugno per Southeastern Records / Thirty Tigers.

 

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‘The Nashville Sound’ segna il ritorno di Jason Isbell dopo il grande successo e i due Grammy vinti con il precedente album,
‘Something More Than Free’ (2015).

L’ultimo album di Jason Isbell aveva esordito a 6° posto della della classifica degli album più venduti degli USA,
raggiungendo la vetta di quella country, di quella folk e di quella rock, e al 17° della chart inglese.

Il migliore autore in circolazione dell’Americana e della tradizione roots rock statunitense
ha registrato il nuovo lavoro a Nashville con il produttore Dave Cobb
e dopo 5 anni anni è tornato alla denominazione di Jason Isbell & The 400 Unit,
ovvero la band che lo accompagna dal 2009 (anno di uscita dell’omonimo ‘Jason Isbell and the 400 Unit’).

Ascolta i primi due estratti da ‘The Nashville Sound':

. ‘Hope The High Road’ – 


. ‘Cumberland Gap’ –

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JASON ISBELL and The 400 Unit – ‘The Nashville Sound’
dal 16 giugno per Southeastern Records / Thirty Tigers
Tracklist:
01. Last Of My Kind / 02. Cumberland Gap / 03. Tupelo
04. White Man’s World / 05. If We Were Vampires / 06. Anxiety
07. Molotov / 08. Chaos and Clothes / 09. Hope The High Road
10. Something To Love

Info Jason Isbell:
.
http://www.jasonisbell.com
. https://www.facebook.com/jasonisbellmusic
. https://twitter.com/JasonIsbell
. https://www.instagram.com/jasonisbell/

 
Vincitore di due premi Grammy, cantante, compositore e chitarrista Jason Isbell e la sua band, i The 400 Unit, hanno annunciato il nuovo album ‘The Nashville Sound’, disponibile dal 16 giugno per Southeastern Records/Thirty Tigers.

Jason Isbell è riconosciuto come uno dei più importanti e rispettati songwriter della sua generazione grazie al successo del precedente album ‘Something More Than Free’ (2015), vincitore di ben due Grammy (Best Americana Album e Best American Roots Song per il brano ‘24 Frames) e due Americana Music Association Awards (Album of the Year e Song of The Year sempre per ‘24 Frames’).

Il nuovo album è stato registrato a Nashville presso i leggendari RCA Studio e prodotto da Dave Cobb, gia al lavoro sugli ultimi due dischi di Jason Isbell (‘Southeastern’ del 2013 e ‘Something More Than Free’ del 2015).

In ‘The Nashville Sound’ sono presenti 10 nuove composizioni che toccano differenti argomenti come politica, privilegi sociali (‘White Man’s World’), nostalgia per il passato (‘The Last Of My Kind’), amore e morte (‘If We Were Vampires’), lo stress della società moderna (‘Anxiety’) e speranza (‘Something To Love’). Canzoni come ’Cumberland Gap’ e ‘Hope The Highroad’ vedono Jason e i suoi The 400 Unit tornare indietro nel tempo fino alle sonorità mai morte del miglior roots rock americano.

Il nuovo album è la prima uscita come Jason Isbell and the 400 Unit da ‘Here We Rest’ del 2011, dopo gli ultimi due lavori pubblicati solo come Jason Isbell.
I The 400 Unit sono Derry DeBorja (keyboards), Chad Gamble (drums), Jimbo Hart (bass), Amanda Shires (fiddle) e Sadler Vaden (guitar).

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KEVIN MORBY, ‘City Music’ – Il 16 giugno è in uscita ‘City Music, nuovo album per Dead Oceans di Kevin Morby

Il 16 giugno è in uscita ‘City Music, nuovo album per Dead Oceans di Kevin Morby.

 

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Prima bassista nei Woods, poi frontman dei The Babies e infine l’inizio della carriera solista,
che dopo soli tre album lo pone tra gli interpreti più ispirati e freschi della scena folk e indie contemporanea. L’ultimo ‘Singing Saw’ di Kevin Morby, uscito per Dead Oceans, è finito nelle chart di gradimento del 2016 dei principali magazine e siti di musica internazionali.

Il 16 giugno dopo un EP uscito da poco, ‘Beatiful Strangers’, sarà la volta del nuovo e attesissimo ‘City Music’, in arrivo sempre Dead Oceans.

. Guarda il video di ‘Aboard My Train’, primo singolo estratto da ‘City Music – 



. Guarda il lyrcs video di ‘Come to Me Now’, anteprima di ‘City Music’ –



‘City Music’ è il quarto album solista di Kevin Morby, seguito dell’ottimo ‘Singing Saw’
e dei primi due lavori solisti ‘Harlem River’ e ‘Still Life’, entrambi usciti per la label di culto Woodsist,
di proprietà di Jeremy Earl, ex compagno di band nei Woods.

Proprio con i Woods Kevin Morby ha affinato l’arte del suo personalissimo folk rock,
influenzato dai ripetuti ascolti di Lou Reed, Bob Dylan, Nina Simone e Simon Joyner
e da Patti Smith, vera e propria musa del nuovo ‘City Music’.

Kevin Morby presenterà dal vivo anche in Italia il suo nuovo album a novembre:

17 novembre 2017 RAVENNA, BRONSON
18 novembre 2017 ROMA, MONK – ROME PSHYC FEST
19 novembre 2017 MILANO, SERRAGLIO

Info live www.DNAConcerti.com

 

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KEVIN MORBY – ‘City Music’
dal 16 giugno per Dead Oceans
Tracklist:
01. Come To Me Now / 02. Crybaby / 03. 1234 / 04. Aboard My Train

05. Dry Your Eyes / 06. Flannery / 07. City Music / 08. Tin Can

09. Caught In My Eye / 10. Night Time / 11. Pearly Gates / 12. Downtown’s Lights

 

Kevin Morby info:

http://www.kevinmorby.com/

https://twitter.com/kevinmorby

https://www.instagram.com/kevinmorby/

https://www.facebook.com/kevinrobertmorby

Press-kit Kevin Morby: http://deadoceans.com/press/morbykevin/index.php

 

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The Other Side Of Rickie Lee Jones

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Per due volte vincitrice del Grammy, Rickie Lee Jones esplose letteralmente nella scena pop con il suo seminale album di debutto omonimo, continuando poi a sperimentare sul suono e sulla sua stessa persona nel corso di una carriera costellata da grandissimi risultati artistici. 15 album unanimemente acclamati dalla critica e da un pubblico di estrazione roots (ma non solo), per un’autrice tra le più brillanti del nostro tempo. L’ultima offerta da studio porta il titolo di ‘The Other Side of Desire’, un disco scritto e registrato in quel di New Orleans. Città cui la nostra e’ fortemente ancorata, se pensiamo che la Jones vive proprio sul lato opposto della strada resa celebre da un’istituzione locale come Tennessee Williams. Prodotto da un tecnico esperto come John Porter (Roxy Music, The Smiths, Billy Bragg) e Mark Howard, questo è il primo lavoro sulla lunga distanza cui Rickie ha lavorato da oltre un decennio a questa parte.

“Questo disco è ispirato dai numerosi anni trascorsi nell’attesa di eventi cruciali nella mia vita, fino a giungere al momento della composizione, con la capacità di ritrarre compiutamente proprio quegli attimi salienti” queste le sue parole. “Sono arrivata a New Orleans con lo scopo di scrivere e vivere in una maniera diametralmente opposta al lifestyle della costa occidentale… Ecco così un altro album, fatto della mia immaginazione e di qualsiasi altra cosa non si possa descrivere a parole, utilizzando l’argilla di questo posto e le forme dei miei occhi per creare qualcosa che potesse restituire una fotografia nitida della mia vita, o del mio cuore, qualcosa che io sola possa comprendere fino in fondo e che gli altri – mi auguro – possano compiutamente apprezzare”

Più di ogni altra cosa continua a valere la definizione con cui Rolling Stone ne cristallizzò il mito : una combinazione di coraggio e vulnerabilità che si affaccia su confini indefiniti.

 

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Sharon Van Etten, Nuovo Ep

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Sharon Van Etten non ha mai avuto necessità di grandi spazi per rivelare grandi intenzioni. Con quattro album pubblicati negli ultimi sei anni, è divenuta una delle più astute cartografe del cuore, abile nel catturare tribolazioni emotive e trionfi umorali con linee incisive ed una voce che non perde nulla nella traduzione e trasmissione dei sentimenti. Il suo secondo, epico, disco ha avuto bisogno di appena sette trace per rispettarne il titolo. ‘Tramp’ del 2012 e lo straordinario ‘Are We There’ dello scorso anno hanno definitivamente aperto le porte dell’anima, consentendo a Sharon di albergare sentimenti universali in piccoli ambienti. Dall’inizio fino alla recente straordinaria affermazione, Sharon Van Etten ha da sempre compreso l’impatto ‘economico’ delle composizioni. Non dovrebbe giungere come una sorpresa che il suo nuovo Ep di cinque tracce per Jagjaguwar ’I Don’t Want to Let You Down’ documenti  un senso di resa e scoramento, ammettendo responsabilità e disillusioni in un’offerta distillata di appena 22 minuti.

Prodotte dalla stessa autrice con Stewart Lerman, già in regia per ‘Are We There’, queste canzoni sono così sofisticate da spiccare immediatamente nella discografia della nostra. Supportata da una sezione d’archi nel corso di ‘I Always Fall Apart’, la sua voce si erge insieme al suo piano. Le sue armonie prismatiche tradiscono anche l’ammissione celata al centro del brano, uno degli spunti lirici più autobiografici di sempre: “You know I always fall apart/It’s not my fault/It’s just my flaw/It’s who I am”.  La disperazione insita nel titolo si erge nei quattro minuti di musica in cui le chitarre si fanno più grandi e le armonie si espandono. Adam Granduciel e David Hartley dei War on Drugs si uniscono a Stuart Bogie degli Antibalas, Peter Broderick ed Heather Woods-Broderick per ‘Pay My Debts’. Il pezzo più lungo dell’Ep, un numero cinematico con riferimenti sparsi al filone shoegaze. L’Ep si chiude con una rivisitazione live di ‘Tell Me’, una demo dall’album ‘Tramp’, con l’accompagnamento del quartetto che è ufficialmente la sua touring band, il pezzo diviene una battaglia interiore in cui la Van Etten coltiva i suoi poteri. E’ una mappa della progressione della cantante dalla dimensione di songwriter acustica a vera e propria leader di un gruppo, una precisazione di come la sua efficienza aldilà della dimensione più intima sia divenuta una costante.

http://www.youtube.com/watch?v=o9-_zXnFGOs

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Kenny Knight, Countryman

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La prima ristampa ufficiale di questa ricercata private-press del 1980 (uscita per la fantomatica Calop Records) all’insegna del più bucolico e seducente  country-rock, firmata dal cantautore, estroso pittore ed ex-marine Kenny Knight. Reduce da esperienze minori nei sixties, il lavoro di Knight in ‘Crossroads’ richiama una versione casalinga e meno appariscente del seminale ‘American Beauty’ dei Grateful Dead. Una sensazione suffragata dal mood quasi dimesso dell’opera e da una scrittura che rimane comunque indelebile. Languido, ansiogeno, melanconico e meravigliosamente melmoso, questo documento apparentemente senza tempo fu concepito agli albori di una nuova decade, dove l’individualismo avrebbe avuto gioco facile, influenzando anche le politiche della musica popolare. Prodotto in  collaborazione con Numero Group, contiene le bellissime e rivelatorie note introduttive dello scrittore e collezionista Michael Klausman e di Kenny stesso.

“Una sobria gemma country-rock dal Colorado, perlopiù sconosciuta ed in realtà poco amata al momento della sua pubblicazione, 35 anni or sono. Finalmente pronta ad ottenere i riconoscimenti di pubblico che merita, grazie anche all’interessamento dell’etichetta Paradise of Bachelors. Mettendo insieme le polverose escursioni dei Grateful Dead – all’incirca nel periodo d’oro 1970 – e la stanchezza proverbiale del Gene Clark nel periodo ‘White Light’, lo stile personale di Knight è un puro distillato di ‘americana’ e le dieci tacce qui offerte rappresentano un puro ibrido di intima passione. Se la  pedal steel ed i caldi vocalizzi sono amabili quanto un alba sulle montagne rocciose, l’intensità e la malinconia che albergano in ogni solco di questo disco sono proverbiali” – Tyler Wilcox, Aquarium Drunkard

http://www.youtube.com/watch?v=lXqIC8syYy4

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Sufjan Stevens, Elegiaco Pop

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Ci riferiamo a questi tempi come aggressivi; l ‘incomunicabilità, il continuo affannarsi, la ricerca di un intimo benessere a discapito del prossimo: tutti elementi che in maniera repentina descrivono la nostra buia modernità. La musica per Sufjan Stevens è da sempre lo specchio di una natura distante dalle psicosi quotidiane, un’oasi di pace in cui riflettere e procreare. Lontano dall’asfissiante rincorrersi delle notizie mattutine, anni luce dal traffico frenetico della metropoli, un luogo della mente dove le melodie vanno ad adagiarsi sul pentagramma, al fine di costituire un invidiabile idillio.

Ci vuole un’attenzione estrema per sintonizzarsi con il mondo di Sufjan Stevens, fuori dalla porta occorre lasciare ogni stato ansiogeno, perché siamo al cospetto della terapia più docile, prossimi a quegli umori materni che usavano cullarci nottetempo. E’ un ritorno deciso alla scrittura più soffusa ed acustica, dopo gli esperimenti multimediali che hanno portato il nostro a confrontarsi a tutto tondo con l’avanguardia, approdando con successo anche nel circuito dei teatri off della East Coast. Finanche gli esperimenti di natura più elettronica ed r&b possono essere messi in disparte, della liaison con Son Lux e Serengeti non c’è infatti traccia in questo ‘Carrie & Lowell’. Annunciato in pompa magna per fine marzo sul marchio di casa Ashtmatic Kitty.

Torna al suo universo mistico ed al contempo casalingo Sufjan, usando quelle stesse metafore che lo hanno portato al successo indipendente. Un disco rassicurante, che sembra stridere con l’angustia dei tempi moderni, un lavoro che trasmette fiducia, immediatamente. Le buone vibrazioni verranno così accolte con un sospiro di sollievo dai fan della prima ora, i primi a sentire la necessità di un ritorno all’intimismo primigenio, a quell’essenzialità che ne aveva fatto un piccolo principe nello sterminato campo degli autori contemporanei. Che nessuno si azzardi a mettere al bando la filosofia, quelli che assaporerete sono ben 44 minuti focalizzati sulla mortalità, la memoria e la fiducia. Sono undici canzoni – comunemente intese – ed ognuna di esse ricorre ad una fragile melodia, fino a trascendere in una solenne inno moderno. Racconta gli affronti e l’impurità di questo universo, dove la tecnologia spesso diviene una scusante (fonte di enormi distrazioni), dove il sesso cibernetico assume piaghe sempre più tragiche e dove l’idea del mito e del miracolo è sempre più soffocata dall’incontrastato ego dei singoli. Le parole di Sufjan sono un incoraggiamento, un messaggio di speranza in un mondo che continua a roteare follemente su sè stesso. L’atmosfera elegiaca del disco ci consegna uno degli autori più puri del nostro tempo, un divino cantastorie, un usignolo la cui buona novella timidamente si deposita sullo zerbino di casa.

Info:

http://www.asthmatickitty.com/

https://www.facebook.com/pages/Sufjan-Stevens/73949695413?fref=ts

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Ryley Walker, il futuro è qui

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La copertina di ‘His Band And The Street Choir’ di Van Morrison deve aver condizionato non solo le scelte estetiche di Ryley Walker, un talento puro che all’età di 25 anni sembra aver sbaragliato ogni concorrenza in termini di maturità ed espressione del proprio io musicale. Il disco dello scorso anno – ‘All Kinds Of You’ edito dalla benemerita Tompkins Square – ha aperto la strada ai più nobili riconoscimenti della stampa specializzata, in attesa del definitivo allungo con ‘Primrose Green’, di imminente pubblicazione per Dead Oceans. Cresciuto sulle rive del vecchio fiume Rock nel nord dell’ Illinois, Ryley conoscerà un’adolescenza tranquilla prima di trasferirsi a Chicago nel 2007, per iscriversi al college. Qui inizia a frequentare con assiduità la locale scena dei club, confrontandosi con il lascito del post-rock e le più nerborute e decadenti manifestazioni noise (i gusti del nostro rimangono ad oggi profondamente disparati). Nel 2011, poco più che ventenne, il nostro si insinua adeguatamente nella tradizione del fingerpicking, osservando con parsimonia la dottrina dei vari John Fahey, Robbie Basho e Leo Kottke. Lo scenario sarebbe presto cambiato negli anni a venire, quando il gusto anglofono avrebbe preso il sopravvento, spostando l’asse degli interessi sulla perfida Albione, nello sposalizio naturale con lo stile conclamato di Bert Jansch e John Renbourn.

Per il nuovo album Ryley assolda un consistente numero di vecchi e nuovi talenti della windy city, andando a muoversi nei circuiti del jazz di ricerca e del rock sperimentale. L’apertura con la title-track ha del miracoloso, uno di quei brani che di diritto entrano nei dizionari rock di sempre, parafrasando le estatiche movenze del Tim Buckley altezza ‘Starsailor’. Con la successiva ‘Summer Dress’ gli arrangiamenti jazzy (l’uso del vibrafono è quintessenziale) sono ancor più determinanti, merito degli eccezionali comprimari coinvolti in questa pastorale avventura.  Anton Hatwich (contrabasso, Dave Rempis Quartet, Keefe Jackson ed una moltitudine di compagini avant) Frank Rosaly (batteria, Joshua Abrams Quartet, Scorch Trio, Jason Adasiewicz’s Rolldown)  Brian Sulpizio (chitarra, già nel precedente disco, un vero e proprio campione di gusto già frequentatore de circuiti rumoristi ed elettronici) e Ben Boye (tastiere, Bonnie Prince Billy, Angel Olsen) costituiscono più di un sostentamento per la penna dell’autore, capace di librarsi su di un tappeto sonoro ammaliante.

Per immergersi nello spirito dell’americana occorre voltare lato: ‘On The Banks Of The Old Kishwaukee’ è un’autentica testimonianza di vita, le fedeli memorie di Ryley che sulle sponde del fiume assisteva ai più classici battesimi nell’acqua. Più che a un’idea di redenzione il rimando è allo spoglio rituale, nelle acque limacciose del fiume con uno stuolo di partecipanti più che altro irritati. Per ascoltare il delizioso fingerpicking di ‘Sweet Satisfaction’ bisogna prima scomodare il John Martyn di ‘Solid Air’, pur considerando l’originalità del pianoforte di Ben Boye, qui particolarmente rivelatorio. Un’esperienza totale, tanto da candidare  ’Primrose Green’ ad una delle più miracolose pubblicazioni di quest’anno, proiettando il talento americano nella sfera dei grandi cantautori.

http://www.youtube.com/watch?v=96qBM4LL2ps

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